di Mattia Santomarco
Aprire una rubrica inerente il tema liturgico risulta di estrema importanza ed i motivi sono molteplici e di grande attualità. In primis, può diventare motivo di riflessione su quanto il Concilio Vaticano II ha compiuto nel riscoprire la liturgia come centro vitale della Chiesa e della vita cristiana, grazie al ritorno alle fonti dei primi secoli, pur rimanendo ancorata ai segni dei tempi.
Infatti, così possiamo leggere nella prima Costituzione Dogmatica che il Concilio Vaticano II ha donato alla Chiesa tutta: «la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia» (Sacrosanctum Concilium 10). Da ciò possiamo intuire l’importanza che riveste la liturgia per la vita della Chiesa e di ogni cristiano; infatti, essendo il culmine, ciascun uomo tende ad essere unito al Signore per mezzo di essa, così da vivere in tensione e anticipando la gioia della liturgia celeste. Dall’altra parte, tutti noi che vi partecipiamo attingiamo fin d’ora alla fonte dei benefici necessari per il nostro cammino quotidiano, affinché tutta la nostra vita diventi un rendimento di grazie per una maggior comunione tra noi e con Dio. In altri termini, nella liturgia si attua l’opera della nostra redenzione per mezzo di Cristo che continua ad operare nella nostra vita e a divenire nostro contemporaneo. Va inoltre riconosciuto che una rubrica liturgica sui santi segni diventa necessaria non solo perché il Concilio Vaticano II ne ha riportato alla luce tutta la sua bellezza e la sua ricchezza nascosta, ma soprattutto perché da quell’evento così decisivo sembra che oggi si sia passati ad una liturgia stancamente abitudinaria. O forse, necessita una vera e propria rieducazione allo spirito
della liturgia in modo da prendere coscienza nuovamente della ricchezza e viverla così con maggior consapevolezza.
Abitudinari o no della Santa Messa, è facile cedere alla tentazione del ritualismo dei buoni praticanti, sicuramente diligenti nell’osservanza del precetto ma poco sentinelle nel cogliere la
novità di Dio che attraverso i segni santi della liturgia vuole visitare la realtà della nostra vita e toccare i cuori. Una società come la nostra non ci facilita poi così tanto, il dilagare del consumismo,
la tecnocrazia imperante e i continui stimoli che derivano da un mondo sempre più interconnesso per via dei social non sempre ci permette di passare “off-line” e connetterci in quell’ascolto orante
dello Spirito Santo. D’altro canto, l’esigenza di un simile ascolto, anche se sembra non andare per la maggiore, riaffiora proprio nel momento in cui ci si accorge che la routine di ogni giorno necessita
di un “tempo sospeso”, di un rito, cioè una liturgia che ridoni spazio al senso del nostro camminare, la giusta essenzialità e profondità al nostro vivere. Il percorso di questa rubrica verterà nel semplice tentativo di riconoscere che c’è sempre bisogno di prendere coscienza dello spirito della liturgia e dei suoi santi segni, proprio perché non siamo noi ad esserne padroni ma invece sono essi a volerci scuotere e interpellare. Certamente mi servirò di alcuni contributi incrociati negli anni di formazione, tra cui l’indiscusso capolavoro di Romano Guardini del 1918, “Lo spirito della liturgia”, con la ripresa della riflessione apportata grazie al testo del Papa emerito, Benedetto XVI, dal nome, “Introduzione allo spirito della liturgia”.
Due capolavori a cui invito la lettura a coloro che, come me, non desiderano rimanere spettatori o estranei alla liturgia, ma approfondendone il senso, si lascino coinvolgere maggiormente dalle realtà salvifiche che sono sempre presenti e operanti.
Infine, oltre a ringraziare la redazione del giornalino parrocchiale nel concedermi questo spazio di riflessione, mi piace dare avvio alla rubrica con le stesse parole di Romano Guardini: «Nella liturgia non si tratta precipuamente di concetti, bensì di realtà. E non di realtà passate bensì di realtà presenti, che si ripetono costantemente in noi e per noi; di realtà umane in figura e gesto. E
a esse non ci si avvicina dicendo semplicemente: son sorte in quel certo tempo e si sono sviluppate così e così. E neppure attribuendo loro qualche occulto significato, bensì cercando di cogliere nella
forma corporea l’elemento interiore: nel corpo l’anima, nel processo materiale la recondita forza spirituale» (R. Guardini, Lo spirito della liturgia, 113).