di Francesco Moscagiuri
Hai un brutto vizio! Chi di noi, almeno una volta nella vita, non se lo è sentito dire? Vizio, parola bruttissima nel linguaggio comune, (dal latino vĭtĭum, mancanza, difetto, ma anche abitudine deviata, storta, fuori dal retto sentiero) si riferisce a un comportamento che distruggerebbe l’anima umana, contrapponendosi alla virtù, che invece ne promuove la crescita.
Chiaramente questo tipo di comportamento non poteva passare inosservato alla morale umana e tanto meno alla Chiesa cattolica che nel corso degli ultimi due millenni ha ripetutamente cercato di spiegare ai fedeli quanto sia importante starne alla larga. I vizi, al contrario delle virtù, sono pessime abitudini e inclinazioni d’animo che portano chi ne è affetto a seguire continuamente dei comportamenti sbagliati. Anche nel linguaggio comune, ad esempio, una persona che ha il “vizio del fumo” è colui che proprio non riesce a smettere di fumare, arrecando danno a sé stesso e agli altri. Certo, poi ci sono vizi meno gravi degli altri, ma quelli detti “capitali” e cioè: più gravi, principali, riguardanti la profondità della natura umana, almeno secondo la morale cristiana, sono pericolosi perché rischiano di compromettere la salvezza dell’anima e, quindi, l’accesso al Paradiso e quindi di usare male quei doni naturali che il Signore ha donato a ogni persona.
Sono detti capitali non perché siano più gravi dei peccati (alcuni di essi non superano la colpa veniale), ma perché sono origine e guida di molti peccati.
L’uso dell’aggettivo capitali riprende metaforicamente l’accezione del termine “capo” come colui che presiede e che guida. Colui che è dominato da qualche vizio capitale è capace di commettere qualunque peccato o delitto pur di soddisfare la sua viziosa passione. Spesso questi vizi
capitali vengono chiamati “peccati capitali”, ma questo è un errore: il peccato infatti è solo la conseguenza del vizio, il suo relativo effetto.
Al pari delle virtù, i vizi deriverebbero infatti dalla ripetizione di azioni, che formano nel soggetto che le compie una sorta di “abito” che lo inclina in una certa direzione o abitudine. Benché strettamente legati con il mondo religioso, i sette vizi capitali sono ormai concetti entrati nel sapere condiviso di tutti noi e la loro origine è sicuramente precedente all’avvento del Cristianesimo.
Ma sappiamo davvero che cosa sono? I vizi capitali sono desideri non ordinati verso il Bene Sommo, cioè verso Dio. La denominazione di vizi capitali risponde al fatto che essi vengano considerati come abitudine o propensione; quando invece essi vengono considerati come atti si
parla di peccati capitali. Prima del vizio vi è l’atto peccaminoso: è la ripetizione a creare l’abitudine e quindi il vizio.
L’elenco dei vizi risale al primo Cristianesimo ad opera dei primi monaci ai quali si deve la prima classificazione, e di conseguenza anche alla creazione di “mezzi” idonei per combatterli. In particolare, furono individuati otto “spiriti o pensieri malvagi”: gola, lussuria, avarizia, ira, tristezza, accidia, vanagloria e superbia. La tristezza, intesa come sentimento indicante il disprezzo per le opere che Dio aveva compiuto per gli uomini, fu successivamente accorpata come già effetto dell’accidia o dell’invidia, stessa cosa accadde per la Vanagloria, accorpata successivamente
nell’unico vizio della Superbia. Gli altri vizi sono gli stessi giunti a noi (ira, lussuria, avarizia, gola), mentre l’invidia venne aggiunta successivamente.
Quindi oggi si riconoscono sette vizi capitali, ma perché proprio sette? Il Cattolicesimo ha fatto proprio il numero sette, riconoscendone la potente simbologia. Esso è il numero divino per eccellenza, perché ricorda il riposo di Dio dopo la Creazione. Così sette sono i sacramenti, sette i
doni dello Spirito Santo, sette i dolori di Maria, e così via. Perfino nell’Apocalisse di Giovanni si legge di 7 Sigilli spezzati, 7 trombe suonate da 7 Angeli, 7 Portenti e 7 Coppe dell’ira di Dio. In questo contesto simbolico, il fatto che esistano sette virtù (3 teologali, ovvero fede, speranza, carità,
e 4 cardinali, ovvero giustizia, temperanza, prudenza, fortezza) e sette vizi capitali non è certo un caso.
Nei prossimi numeri di questo fantastico giornalino (non so se posso dirlo, magari con questa espressione potrei essere definito vizioso) cercheremo di descrivere nel modo più semplice possibile i terribili “sette”.