di Francesco Moscagiuri
(Articolo del giornalino di Ottobre 2020)
Questo vizio rappresenta in un essere umano la convinzione di essere migliore di tutti gli altri. Chi pecca di superbia non solo tratta gli altri con superiorità, ma talvolta si sente al di sopra anche delle leggi e di Dio stesso (e questo, lo si intuisce, è molto grave per la nostra religione, ma lo è indiscutibilmente per qualsiasi religione).
La superbia, se considerata come peccato è il più mortale di tutti i vizi poiché il superbo si crede migliore anche di Dio, tanto da ergersi a giudice degli altri che tratta con arroganza e disprezzo. Il superbo sminuisce gli altri per rivendicare la propria superiorità, vera o presunta e lo fa in ogni campo (sportivo, lavorativo, ecc.). Forte di questa consapevolezza di superiorità egli non rispetta le persone e le leggi (sia quelle degli uomini che quelle di Dio), poiché è convinto di valere più di ogni cosa.
La superbia si manifesta in modi differenti. Può implicare la sottomissione degli altri, o piuttosto la pretesa della loro ammirazione. Nasce da un desiderio di primeggiare, di essere riconosciuti come migliori rispetto agli altri, a causa di meriti effettivi o solo pretesi. Essa è sinonimo di: vanagloria, boria, alterigia, altezzosità, orgoglio, anche se, per quest’ultimo, se considerato con senso attenuato, lo si potrebbe ritenere un sentimento non biasimevole della propria dignità, una giustificata fierezza.
Dalla superbia derivano anche la vanità (uno dei peccati preferiti dal diavolo), la mania di grandezza, l’onnipotenza. Dante, che si sente direttamente coinvolto con questo peccato, piazza questi peccatori non solo nell’inferno, ma anche nel Purgatorio dove, per espiarlo, le anime sono costrette a recitare il Padre Nostro mentre avanzano con ritmo lento, curve sotto il peso dei macigni che le opprimono (una prospettiva non certo raccomandabile).
Al di fuori del contesto teologico, l’aggettivo superbo intende qualcosa di imponente sia per altezza, sia per fastosità, eccezionalità, magnificenza, ma se riferito ad un uomo indica una natura vile, tale da mostrarsi insolente nella prosperità e abietto e umile nelle avversità (Machiavelli). La gente è superba soltanto quando ha qualcosa da perdere e umile quando ha qualcosa da guadagnare.
Umiltà, modestia, riverenza e remissività sono appunto esattamente il contrario della superbia e nella società civile queste qualità sono purtroppo intese come debolezza. Questo vizio, nostro malgrado, è presente nell’animo di ognuno di noi, tanto è vero che si dice che due uomini non possono passare mezz’ora insieme senza che uno acquisti una evidente superiorità sull’altro.
Sarà probabilmente per questa ragione che nel Vangelo ci sono tante affermazioni o parabole di Gesù che trattano soprattutto la contrapposizione tra superbia e umiltà; si potrebbe addirittura pensare che la perdizione eterna o la santificazione di una persona passino proprio attraverso esse.
Questo vizio e questa virtù, quindi, sono due vie totalmente diverse e opposte, che conducono verosimilmente lontanissimo da Dio o nel suo Cuore. “Chi si esalta sarà umiliato e che si umilia sarà esaltato” (Lc 18,14), giusto per fare un esempio. Chi di noi almeno una volta nella vita non si sia macchiato di questo peccato che non sempre risulta facilmente riconoscibile al momento, ma che dopo, fatto un analitico esame di coscienza, inesorabilmente emerge. La difficoltà sta nell’ammetterlo e spesso nel confessarlo. Io, dal canto mio, spero di non prendere il vizio.
Francesco Moscagiuri